Documento preparatorio del Sinodo per l'Amazzonia

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Documento Preparatorio

Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale

Introduzione

            In accordo con l’annuncio di Papa Francesco del 15 ottobre 2017, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi avrà luogo nell’ottobre 2019 per riflettere sul tema Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale. Questi cammini di evangelizzazione devono essere pensati per e con il Popolo di Dio che abita in quella regione: abitanti di comunità e zone rurali, di città e grandi metropoli, popolazioni che vivono sulle rive dei fiumi, migranti e profughi e, specialmente, per e con i popoli indigeni1.

            Nella foresta amazzonica, di vitale importanza per il pianeta, si è scatenata una profonda crisi causata da una prolungata ingerenza umana, in cui predomina una «cultura dello scarto» (LS 16) e una mentalità estrattivista. L’Amazzonia è una regione con una ricca biodiversità; è multi-etnica, pluri-culturale e pluri-religiosa, uno specchio di tutta l’umanità che, a difesa della vita, esige cambiamenti strutturali e personali di tutti gli esseri umani, degli Stati e della Chiesa.

            Le riflessioni del Sinodo Speciale superano l’ambito strettamente ecclesiale amazzonico, protendendosi verso la Chiesa universale e anche verso il futuro di tutto il pianeta. Partiamo da un territorio specifico, per gettare a partire da esso un ponte verso altri biomi essenziali del mondo: il bacino del Congo, il corridoio biologico mesoamericano, i boschi tropicali del Pacifico asiatico, il bacino acquifero Guaranì, fra gli altri.

            Ascoltare i popoli indigeni e tutte le comunità che vivono in Amazzonia, come primi interlocutori di questo Sinodo, è di vitale importanza anche per la Chiesa universale. Per fare questo abbiamo bisogno di avvicinarci di più ad essi. Desideriamo sapere: come immaginano il “futuro sereno” e il “buon vivere” delle future generazioni? Come possiamo collaborare alla costruzione di un mondo capace di rompere con le strutture che uccidono la vita e con le mentalità di colonizzazione per costruire reti di solidarietà e di inter-culturalità? E soprattutto, qual è la missione particolare della Chiesa oggi di fronte a questa realtà?

            Questo Documento Preparatorio è diviso in tre parti che corrispondono al metodo “vedere, giudicare (discernere) e agire”. Alla fine del testo si presentano delle domande che permettono di entrare in dialogo e di accostarsi progressivamente alla realtà e al desiderio di una «cultura dell’incontro» all’interno della regione (EG 220). I nuovi cammini per l’evangelizzazione e per forgiare una Chiesa dal volto amazzonico passano attraverso questa «cultura dell’incontro» nella vita quotidiana, «in una armonia multiforme» (EG 220) e in una «felice sobrietà» (LS 224-225), come contributo per la costruzione del Regno.

I. VEDERE. IDENTITÀ E GRIDO DELLA PANAMAZZONIA2

1. Il territorio

            Il bacino amazzonico rappresenta per il nostro pianeta una delle maggiori riserve di biodiversità (dal 30 al 50 % della flora e fauna del mondo), di acqua dolce (20% dell’acqua dolce non congelata di tutto il pianeta); possiede più di un terzo dei boschi primari del pianeta e, benché i maggiori serbatoi di carbonio siano in realtà gli oceani, non per questo si può ignorare il lavoro di raccolta di carbonio in Amazzonia. Si tratta di più di sette milioni e mezzo di chilometri quadrati, con nove Paesi che si spartiscono questo grande bioma (Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela, includendo la Guyana Francese come territorio d’oltremare).

            Anche il cosiddetto “Massiccio della Guayana” (“Isla de la Guayana”), delimitato dai corsi dell’Orinoco e del Rio Negro, dal Rio delle Amazzoni e dalle coste atlantiche dell’America del Sud tra le foci dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni, fa parte di questo territorio. Pure altre regioni appartengono a questo territorio, perché sono sottoposte allo stesso regime climatico e geografico a causa della loro vicinanza all’Amazzonia.

            Ciononostante, questi dati non delineano una regione omogenea. Costatiamo come l’Amazzonia abbia al suo interno molti tipi di “Amazzonie”. In tale contesto è l’acqua, attraverso le sue vallate, i fiumi e i laghi, a configurarsi come l’elemento articolante e unificante, considerando come asse principale il Rio delle Amazzoni, il fiume che è madre e padre di tutti. In un territorio così diversificato si può ben comprendere che i vari gruppi umani che lo abitano abbiano dovuto adattarsi alle differenti realtà geografiche, eco-sistemiche e politiche.

            Il lavoro della Chiesa Cattolica in Amazzonia, nel corso di molti secoli, si è orientato a dare risposta a questi variegati contesti umani e ambientali.

2. Varietà socio-culturale

            Date le sue proporzioni geografiche, l’Amazzonia è una regione in cui vivono e convivono popoli e culture diverse, con differenti stili di vita.

            L’occupazione demografica dell’Amazzonia precede il processo colonizzatore di molti anni, talvolta migliaia di anni. Fino alla colonizzazione la popolazione si concentrava soprattutto sulle rive dei grandi fiumi e laghi, per una questione di sopravvivenza che abbracciava le attività della caccia, della pesca e della coltivazione delle terre inondabili. Con la colonizzazione e con la pratica diffusa della schiavitù indigena, molti popoli dovettero abbandonare quei luoghi e rifugiarsi all’interno della foresta. Al tempo stesso, nella prima fase della colonizzazione, si ingenerò un processo di sostituzione della popolazione, che determinò una forte concentrazione demografica sulle sponde dei fiumi e dei laghi.

            Al di là delle circostanze storiche, i popoli delle acque, in questo caso dell’Amazzonia, hanno avuto sempre in comune un rapporto di interdipendenza con le risorse idriche. Per questo i contadini e le famiglie utilizzano le risorse delle terre inondabili affidandosi al movimento ciclico dei loro fiumi – inondazioni, riflussi e periodi di siccità –, in un rapporto di rispetto fondato sulla consapevolezza che “la vita dirige il fiume” e “il fiume dirige la vita”. Inoltre, i popoli della foresta, che sono fondamentalmente raccoglitori e cacciatori, sopravvivono con ciò che la terra e il bosco offrono loro. Questi popoli vigilano sui fiumi e hanno cura della terra, nello stesso modo in cui la terra ha cura di loro. Sono i custodi della foresta e delle sue risorse.

            Oggi, tuttavia, la ricchezza della foresta e dei fiumi amazzonici si trova minacciata dai grandi interessi economici che si concentrano in diversi punti del territorio. Tali interessi provocano, fra le altre cose, l’intensificazione della devastazione indiscriminata della foresta, la contaminazione di fiumi, laghi e affluenti (per l’uso incontrollato di prodotti agrotossici, spargimento di petrolio, attività mineraria legale e illegale, dispersione dei derivati della produzione di droghe). A ciò si aggiunge il narcotraffico, che, sommato a quanto detto, mette a repentaglio la sopravvivenza dei popoli che dipendono delle risorse animali e vegetali di questi territori.

            D’altra parte, le città dell’Amazzonia sono cresciute molto rapidamente, accogliendo molti migranti e profughi costretti a fuggire dalle loro terre e sospinti verso le periferie dei grandi centri urbani che si protendono in direzione della foresta. In maggioranza sono popoli indigeni, popoli delle rive dei fiumi e popoli di origine africana, espulsi dall’industria mineraria legale e illegale e da quella dell’estrazione petrolifera, accerchiati progressivamente dall’espansione delle attività di disboscamento. Costoro sono i più colpiti dai conflitti agrari e socio-ambientali. Anche le città si caratterizzano per le disuguaglianze sociali. La povertà che si è prodotta lungo la storia ha ingenerato rapporti di sottomissione, di violenza politica e istituzionale, aumento del consumo di alcool e di droghe – sia nelle città che nelle comunità rurali – e rappresenta una ferita profonda inferta ai diversi popoli amazzonici.

            I movimenti migratori più recenti all’interno della regione amazzonica si caratterizzano, soprattutto, per il trasferimento degli indigeni dai loro territori d’origine alle città. Attualmente fra il 70 e l’80% della popolazione della Panamazzonia risiede nelle città. Molti di questi indigeni non hanno documenti o sono irregolari, rifugiati, abitanti delle rive dei fiumi o appartengono ad altre categorie di persone vulnerabili. Di conseguenza cresce in tutta l’Amazzonia un atteggiamento xenofobo e di criminalizzazione verso i migranti e i profughi. Questo, al tempo stesso, favorisce lo sfruttamento delle popolazioni amazzoniche, vittime del mutamento di valori dell’economia mondiale, in base al quale il guadagno è più importante della dignità umana. Si può trovare un esempio di ciò nella crescita drammatica del traffico di persone, specialmente donne, ai fini dello sfruttamento sessuale e commerciale. Le donne perdono così il loro protagonismo nei processi di trasformazione sociale, economica, culturale, ecologica, religiosa e politica delle loro comunità.

            In sintesi, la crescita smisurata delle attività agricole, estrattive e di disboscamento dell’Amazzonia non solo ha danneggiato la ricchezza ecologica della regione, della sua foresta e delle sue acque, ma ha anche impoverito la realtà sociale e culturale. Ha obbligato a uno sviluppo umano non “integrale” né “inclusivo” del bacino amazzonico. Come risposta a questa situazione si percepisce, comunque, un incremento delle competenze organizzative e un progresso della società civile, con particolare attenzione alle problematiche ambientali. Nel campo dei rapporti sociali, e malgrado i limiti, la Chiesa Cattolica ha in generale portato avanti un lavoro significativo, rafforzando i propri cammini a cominciare dalla sua presenza incarnata nel territorio e dalla sua creatività pastorale e sociale.

3. Identità dei popoli indigeni

            Nei nove Paesi che compongono la regione panamazzonica si registra la presenza di circa tre milioni di indigeni, che rappresentano quasi 390 popoli e nazionalità differenti. Inoltre esistono nel territorio, secondo dati delle istituzioni specializzate della Chiesa (per esempio il Consiglio Indigeno Missionario del Brasile) e altre, fra i 110 e i 130 Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV) o “popoli liberi”. In aggiunta, negli ultimi tempi, sta facendo la sua comparsa una nuova categoria costituita dagli indigeni che vivono nel tessuto urbano, alcuni dei quali restano riconoscibili mentre altri in quel contesto tendono a dissolversi e per questo sono chiamati “invisibili”. Ognuno di questi popoli rappresenta un’identità culturale particolare, una ricchezza storica specifica e un modo peculiare di guardare la realtà e ciò che li circonda, nonché di rapportarsi con tutto questo a partire da una visione del mondo e da un’appartenenza territoriale specifiche.

            Oltre alle minacce che emergono dall’interno delle loro culture, i popoli indigeni hanno subito forti minacce esterne fin dai primi contatti con i colonizzatori (cf. LS 143, DAp 90). Contro tali minacce i popoli indigeni e le comunità amazzoniche si organizzano, lottando per la difesa della loro esistenza e delle loro culture, dei loro territori e dei loro diritti, e della vita dell’universo e della creazione intera. I più vulnerabili, tuttavia, sono i PIAV, che non possiedono strumenti di dialogo e di negoziazione con gli agenti esterni che invadono i loro territori.

            Alcuni “non indigeni” fanno difficoltà a capire il diverso modo di essere degli indigeni e, molte volte, non rispettano la differenza di cui l’altro è portatore. Il Documento di Aparecida a proposito del rispetto degli indigeni e degli afro-americani afferma: «La società tende a disprezzarli, non riconoscendo la loro differenza. La loro situazione sociale è segnata dall’esclusione e dalla povertà» (DAp 89). Tuttavia, come ha sottolineato Papa Francesco a Puerto Maldonado, «la loro visione del cosmo, la loro saggezza hanno molto da insegnare a noi che non apparteniamo alla loro cultura. Tutti gli sforzi che facciamo per migliorare la vita dei popoli amazzonici saranno sempre pochi» (Fr. PM).

            Negli ultimi anni, i popoli indigeni hanno iniziato a scrivere la loro storia e a descrivere in modo più preciso le loro culture, abitudini, tradizioni e saperi. Hanno scritto sugli insegnamenti ricevuti dai loro antenati, genitori e nonni, insegnamenti che rappresentano memorie personali e collettive. Oggi l’essere indigeno si definisce non solo a partire dall’appartenenza etnica. Esso si riferisce anche alla capacità di mantenere tale identità senza isolarsi dalle società circostanti e con le quali si interagisce.

            A fronte di questo processo d’integrazione, sorgono organizzazioni indigene che cercano di approfondire la storia dei loro popoli, per orientarne la lotta per l’autonomia e l’autodeterminazione: «È giusto riconoscere che esistono iniziative di speranza che sorgono dalle vostre stesse realtà locali e dalle vostre organizzazioni e cercano di fare in modo che gli stessi popoli originari e le comunità siano i custodi delle foreste, e che le risorse prodotte dalla loro conservazione ritornino a beneficio delle vostre famiglie, a miglioramento delle vostre condizioni di vita, della salute e dell’istruzione delle vostre comunità» (Fr.PM). Ciononostante, nessuna iniziativa può ignorare che il rapporto di appartenenza e di partecipazione che chi abita in Amazzonia stabilisce con il creato fa parte della sua identità e contrasta con una visione mercantilista dei beni della creazione (cf. LS 38).

            In molti di questi contesti, la Chiesa Cattolica è presente mediante missionari e missionarie impegnati nelle cause dei popoli indigeni e amazzonici.

4. Memoria storica ecclesiale

            L’inizio della memoria storica della presenza della Chiesa in Amazzonia si può situare nello scenario dell’occupazione coloniale della Spagna e del Portogallo. L’incorporazione dell’immenso territorio amazzonico nella società coloniale e il suo successivo passaggio di proprietà agli Stati nazionali è un lungo processo durato più di quattro secoli. Fino all’inizio del secolo XX, le voci in difesa dei popoli indigeni erano fragili, benché non assenti (cf. Pio X, Lettera Enciclica Lacrimabili Statu, 7.VI.1912). Con il Concilio Vaticano II queste voci si rafforzano. Per incoraggiare «il processo di cambiamento grazie ai valori evangelici» la II Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano riunita a Medellín (1968), nel suo Messaggio ai Popoli dell’America Latina, ha rammentato che «malgrado i suoi limiti», la Chiesa «ha vissuto insieme al­le nostre popolazioni il processo di colonizzazione, liberazione e organizzazione». In seguito la III Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano riunita a Puebla (1979) ci ha ricordato che l’occupazione e la colonizzazione del territorio amerindo è stato «un gigantesco processo di dominazioni», pieno di «contraddizioni e lacerazioni» (DP 6). E, ancora più tardi, la IV Conferenza di Santo Domingo (1992) ha richiamato la nostra attenzione su «uno degli episodi più tristi della storia latinoamericana e dei Caraibi», che «è stato il trasferimento forzato di un enorme numero di africani come schiavi». San Giovanni Paolo II ha chiamato questo trasferimento un «olocausto sconosciuto» al quale «hanno preso parte persone battezzate ma che non hanno vissuto la loro fede» (DSD 20; cf. Giovanni Paolo II, Discorso nell’Isola di Gorée, Senegal, 22.II.1992, n. 3; Messaggio agli Afroamericani, 12.X.1992, n. 2). Per questo «oltraggio scandaloso nella storia dell’umanità» (DSD 20), il Papa e i delegati in Santo Domingo hanno chiesto perdono.

            Oggi, purtroppo, esistono ancora tracce residuali del progetto colonizzatore che ha generato rappresentazioni di inferiorità e di demonizzazione delle culture indigene. Queste tracce indeboliscono le strutture sociali indigene e rendono possibile il fatto che essi vengano privati delle loro conoscenze intellettuali e dei loro mezzi di espressione. Ciò che spaventa è che fino a oggi, dopo 500 anni dalla conquista, dopo all’incirca 400 anni di missione ed evangelizzazione organizzata e dopo 200 anni dall’emancipazione dei Paesi che compongono la Panamazzonia, simili tendenze continuano a svilupparsi sul territorio e tra i suoi abitanti, vittime oggi di un neocolonialismo feroce, «mascherato da progresso». Probabilmente, come ha affermato Papa Francesco a Puerto Maldonado, i popoli originari amazzonici non sono stati mai così minacciati come adesso. Oggi, a causa dell’offesa scandalosa dei «nuovi colonialismi», «l’Amazzonia è una terra disputata su diversi fronti» (Fr. PM).

            Nella sua storia missionaria, l’Amazzonia è stata luogo in cui si è testimoniato concretamente cosa significa stare sulla croce, addirittura essa è stata molte volte luogo di martirio. Anche la Chiesa ha imparato che in questo territorio, abitato da circa diecimila anni da una grande diversità di popoli, le diverse culture si costruiscono in un rapporto armonioso con l’ambiente circostante. Le culture precolombiane hanno offerto al cristianesimo iberico che accompagnava i conquistatori molteplici ponti e possibili elementi di contatto, «come l’apertura all’azione di Dio, il senso della gratitudine per i frutti della terra, il carattere sacro della vita umana e la valorizzazione della famiglia, il senso di solidarietà e di corresponsabilità nel lavoro comune, l’importanza del culto, il credere in una vita ultraterrena e tanti altri valori» (DSD 17).

5.  Giustizia e diritti dei popoli

            Papa Francesco, nella sua visita a Puerto Maldonado, ha invitato a modificare il paradigma storico in base al quale gli Stati considerano l’Amazzonia come un deposito di risorse naturali, passando sopra la vita dei popoli originari e non preoccupandosi della distruzione della natura. Il rapporto armonioso fra il Dio Creatore, gli esseri umani e la natura si è spezzato a causa degli effetti nocivi del neoestrattivismo e della pressione dei grandi interessi economici che sfruttano il petrolio, il gas, il legno, l’oro, e anche a causa della costruzione di opere infrastrutturali (per esempio: megaprogetti idroelettrici e reti stradali, come le superstrade interoceaniche) e delle monocolture industriali (cf. Fr. PM).

            La cultura imperante del consumo e dello scarto trasforma il pianeta in una grande discarica. Il Papa denuncia questo modello di sviluppo come anonimo, asfissiante, senza madre; ossessionato soltanto dal consumo e dagli idoli del denaro e del potere. Si impongono nuovi colonialismi ideologici mascherati dal mito del progresso, che distruggono le identità culturali proprie. Francesco esorta a difendere le culture e a riappropriarsi dell’eredità che proviene dalla saggezza ancestrale, la quale propone un rapporto armonioso fra la natura e il Creatore, ed esprime con chiarezza che «la difesa della terra non ha altra finalità che non sia la difesa della vita» (Fr. PM). La si deve considerare terra santa: «Questa non è una terra orfana! Ha una Madre!» (Fr. EP).

            D’altronde, la minaccia contro i territori amazzonici «viene anche dalla perversione di certe politiche che promuovono la “conservazione” della natura senza tenere conto dell’essere umano e, in concreto, di voi fratelli (e sorelle) amazzonici che la abitate» (Fr. PM). L’orientamento di Papa Francesco è chiaro: «Credo che il problema essenziale sia come conciliare il diritto allo sviluppo, compreso quello sociale e culturale, con la tutela delle caratteristiche proprie degli indigeni e dei loro territori.  […]  In questo senso dovrebbe sempre prevalere il diritto al consenso previo e informato» (Fr. FPI).

            Parallelamente le popolazioni indigene, quelle contadine e altri settori della popolazione, in Amazzonia come pure a livello nazionale in ciascun Paese, sono venuti costruendo processi politici che hanno orientato le loro agende di lavoro in una prospettiva attenta ai diritti umani dei popoli. La situazione del diritto al territorio dei popoli indigeni in Panamazzonia ruota intorno a una problematica costante, quella della mancata regolarizzazione delle terre e del mancato riconoscimento della loro proprietà ancestrale e collettiva. Così anche il territorio è stato privato di un’interpretazione integrale, collegata all’aspetto culturale e alla visione del mondo propria di ogni popolo o comunità indigena.

            Proteggere i popoli indigeni e i loro territori è un’esigenza etica fondamentale e un impegno fondamentale per i diritti umani. Per la Chiesa ciò si trasforma in un imperativo morale coerente con la visione di ecologia integrale di Laudato si’ (cf. LS, cap. IV).

6. Spiritualità e saggezza

            Per i popoli indigeni dell’Amazzonia, il “buon vivere” esiste quando si vive in comunione con gli altri, con il mondo, con gli esseri circostanti e con il Creatore. I popoli indigeni, infatti, vivono all’interno della casa che Dio stesso ha creato e ha dato loro in dono: la Terra. Le loro diverse spiritualità e credenze li portano a vivere una comunione con la terra, l’acqua, gli alberi, gli animali, con il giorno e con la notte. I vecchi saggi, chiamati indistintamente – fra l’altro – payés, mestres, wayanga o chamanes, hanno a cuore l’armonia delle persone tra loro e con il cosmo. Tutti costoro «sono memoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi: avere cura della Casa Comune» (Fr. PM).

            Gli indigeni amazzonici cristiani comprendono la proposta del “buon vivere” come vita piena nel segno della collaborazione all’edificazione del Regno di Dio. Questo buon vivere potrà essere raggiunto solo quando si realizzerà il progetto comunitario in difesa della vita, del mondo e di tutti gli esseri viventi.

            «Siamo chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza» (LS 53). Questo sogno comincia a costruirsi all’interno della famiglia che è la prima comunità della nostra esistenza: «La famiglia è ed è sempre stata l’istituzione sociale che più ha contribuito a mantenere vive le nostre culture. In momenti passati di crisi, di fronte ai diversi imperialismi, la famiglia dei popoli originari è stata la migliore difesa della vita» (Fr. PM).

            Ciononostante, è necessario riconoscere che nella regione amazzonica c’è una grande diversità culturale e religiosa. Sebbene per la maggior parte tale diversità promuova il “buon vivere” come un progetto di armonia fra Dio, i popoli e la natura, esistono anche alcune sette che, motivate da interessi esterni al territorio, non sempre favoriscono l’ecologia integrale.

 

II. DISCERNERE. VERSO UNA CONVERSIONE PASTORALE ED ECOLOGICA

7.  Annunciare il Vangelo di Gesù in Amazzonia: dimensione biblico-teologica

            La realtà specifica dell’Amazzonia e il suo destino interpellano oggi ogni persona di buona volontà sull’identità del cosmo, sulla sua armonia vitale e sul suo futuro. I Vescovi dell’America Latina riconoscono la natura come eredità gratuita e, quali profeti della vita, assumono l’impegno di proteggere questa Casa Comune (cf. DAp 471).

            I racconti biblici contengono alcune istanze teologiche portatrici di valori universali. Anzitutto, ogni realtà creata esiste per la vita e tutto quello che conduce alla morte si oppone alla volontà divina. In secondo luogo, Dio stabilisce un rapporto di comunione con l’essere umano «creato a sua immagine e somiglianza» (Gen 1,26), al quale affida la salvaguardia della creazione (cf. Gen 1,28; 2,15). «Rendiamo grazie per il dono della creazione, riflesso della sapienza e della bellezza del Logos Creatore che affidò all’essere umano l’opera della sua creazione, perché la “coltivasse e custodisse”» (DAp 470). Infine, all’armonia del rapporto fra Dio, l’essere umano e il cosmo si contrappongono la disarmonia della disubbidienza e del peccato (cf. Gen 3,1-7), che determina la paura (cf. Gen 3,8-10), il rifiuto dell’altro (cf. Gen 3,12), la maledizione del suolo (cf. Gen 3,17), l’esclusione dal giardino (cf. Gen 3,23-24), fino ad arrivare all’esperienza del fratricidio (cf. Gen 4,1-16).

            Allo stesso tempo, i racconti biblici testimoniano che nella creazione ferita è piantato il germoglio della promessa e il seme della speranza, perché Dio non abbandona l’opera delle sue mani. Nella storia della salvezza Egli rinnova il proposito di “fare alleanza” fra l’essere umano e la terra, ristabilendo mediante il dono della Torah la bellezza della creazione. Tutto questo culmina nella persona e nella missione di Gesù. Mentre mostra compassione per l’umanità e la sua fragilità (cf. Mt 9, 35-36), Egli conferma la bontà di tutte le cose create (cf. Mc 7,14-15). I prodigi compiuti sui malati e sulla natura rivelano contemporaneamente la provvidenza del Padre e la bontà della creazione (cf. Mt 6, 9-15.25-34).

            Il mondo creato ci invita a lodare la bellezza e l’armonia delle creature e del Creatore (cf. LS 12). Come segnala il Catechismo della Chiesa Cattolica, «ogni creatura possiede la sua bontà e la sua propria perfezione», e nel suo essere riflette «un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio», del suo amore (CCC 339). «Suolo, acqua […] tutto è carezza di Dio» (LS 84), canto divino, le cui note sono formate dalla «moltitudine di creature presenti nell’universo», come ha asserito San Giovanni Paolo II (Catechesi, 30.I.2002). Quando una qualsiasi di queste creature viene eliminata per cause umane, essa non può cantare più le lodi del Creatore (cf. LS 33).

            La provvidenza del Padre e la bontà della creazione raggiungono il loro culmine nel mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, che si fa vicino e stringe in un abbraccio tutte le situazioni umane, ma soprattutto quelle dei più poveri. Il Concilio Vaticano II menziona questa vicinanza con termini come adattamento e dialogo (cf. GS 4, 11; CD 11; UR 4; SC 37ss), incarnazione e solidarietà (cf. GS 32). Più tardi, soprattutto in America Latina, queste parole sono state tradotte come opzione per i poveri e liberazione (Medellín 1968), partecipazione e comunità di base (Puebla 1979), inserimento e inculturazione (cf. Santo Domingo 1992), missione e servizio di una Chiesa samaritana e avvocata dei poveri (cf. DAp 2007).

            Con la morte e risurrezione di Gesù si illumina il destino dell’intera creazione, impregnato della potenza dello Spirito Santo, già evocata nella tradizione sapienziale (cf. Sap 1,7). La Pasqua porta a compimento il progetto di una “nuova creazione” (cf. Ef 2,15; 4,24), rivelando che Cristo è la Parola creatrice di Dio (cf. Gv 1,1-18) e che «tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui» (Col 1,16). «Per la comprensione cristiana della realtà, il destino dell’intera creazione passa attraverso il mistero di Cristo, che è presente fin dall’origine» (LS 99).

            La tensione fra il “già” e il “non ancora” coinvolge la famiglia umana e il mondo intero: «L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,19-22). Nel mistero pasquale di Cristo, la creazione intera si protende verso un compimento finale, nel quale «le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtà meramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un destino di pienezza. Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa» (LS 100).

 

8. Annunciare il Vangelo di Gesù in Amazzonia: dimensione sociale

            La missione evangelizzatrice ha sempre un «contenuto ineludibilmente sociale» (EG 177). Credere in un Dio Trino ci invita a tenere sempre presente che «siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli» (EG 178). Infatti, «dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana» (EG 178), tra l’accoglienza e la trasmissione dell’amore divino. Così, se accettiamo l’amore di Dio Padre Creatore che ci ha conferito una dignità infinita, l’amore del Dio Figlio che ci ha nobilitato con la sua redenzione e l’amore dello Spirito Santo che penetra e libera tutti i vincoli umani, non possiamo che comunicare quest’amore trinitario rispettando e promovendo in ogni azione di evangelizzazione la dignità, nobiltà e libertà di tutti gli esseri umani (cf. EG 178). In altre parole, l’opera evangelizzatrice di ricevere e trasmettere l’amore di Dio comincia con il desiderio, la ricerca e il prendersi cura degli altri (cf. EG 178).

            Pertanto, l’evangelizzazione implica l’impegno in favore dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, per migliorare la vita comunitaria e così «rendere presente nel mondo il Regno di Dio» (EG 176), promovendo nel e per tutto il mondo (cf. Mc 16,15) non una «carità à la carte» (EG 180), ma un vero sviluppo integrale, cioè per tutte le persone e per tutta la persona (cf. PP 14 e EG 181). Questo è ciò che si chiama il «criterio di universalità» dell’opera evangelizzatrice, «dal momento che il Padre vuole che tutti gli uomini si salvino e il suo disegno di salvezza consiste nel ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo (cf. Ef 1,10). […] Tutta la creazione vuol dire anche tutti gli aspetti della natura umana» (EG 181), e tutte le sue relazioni.

            Già nelle storie bibliche della creazione emerge l’idea che l’esistenza umana si caratterizza per «tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra […] queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato» (LS 66). La redenzione di Cristo, che ha vinto il peccato, offre la possibilità di armonizzare queste relazioni. La «missione dell’annuncio della Buona Notizia di Gesù Cristo», pertanto, alimenta la speranza non solo nella fine della storia, ma nel corso stesso della storia dei popoli, all’interno di una storia capace di valorizzare e ricomporre tutte le relazioni della nostra esistenza (cf. EG 181). Per questo l’opera dell’evangelizzazione ci invita a lavorare contro le disuguaglianze sociali e la mancanza di solidarietà mediante la promozione della carità e della giustizia, della compassione e della cura, certamente fra di noi, ma anche nei riguardi degli altri esseri, animali e piante, e di tutta la creazione. La Chiesa è chiamata ad accompagnare e a condividere il dolore del popolo amazzonico e a collaborare alla guarigione delle sue ferite, mettendo in pratica la sua identità di Chiesa samaritana, secondo l’espressione dei Vescovi latinoamericani (cf. DAp.26).

            Questa dimensione sociale – e in ultima analisi cosmica – della missione evangelizzatrice è particolarmente rilevante nel territorio amazzonico, nel quale l’interconnessione fra vita umana, ecosistemi e vita spirituale è stata e continua a essere chiara per la maggior parte dei suoi abitanti. La devastazione è «una scia di distruzione, e perfino di morte, in tutte le nostre regioni […] che mette in pericolo la vita di milioni di persone, e in special modo dell’habitat dei contadini e degli indigeni» (DAp 473). Non prendersi cura della Casa Comune «è un’offesa al Creatore, un attentato contro la biodiversità e, in definitiva, contro la vita» (DAp 125).

            Perciò, come ben ci ricorda Papa Francesco, l’opera di evangelizzazione non può «mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo» (EG 39). La sua armoniosa integralità, per la precisione, «esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale» (EG 165), e, soprattutto, gli domanda di assumere e assimilare la convinzione che «tutto è collegato» (LS 91, 117, 138, 240). Questo implica che l’evangelizzatore deve promuovere progetti di vita personale, sociale e culturale per mezzo dei quali possiamo alimentare l’integralità delle nostre relazioni vitali con gli altri, con la creazione e con il Creatore. Tale chiamata ha bisogno di un ascolto attento contemporaneamente al grido dei poveri e a quello della terra (cf. LS 49).

            Oggi il grido che l’Amazzonia eleva al Creatore è simile al grido del Popolo di Dio in Egitto (cf. Es 3,7). È un grido di schiavitù e di abbandono, che domanda la libertà e l’attenzione di Dio. È un grido che invoca la presenza di Dio, specialmente quando i popoli amazzonici, per difendere le proprie terre, si scontrano con la criminalizzazione della loro protesta – sia ad opera delle autorità che dell’opinione pubblica –; o quando sono testimoni della distruzione della foresta tropicale, che costituisce il loro habitat millenario; o quando le acque dei loro fiumi si riempiono di elementi che producono morte anziché vita.

9.  Annunciare il Vangelo di Gesù in Amazzonia: dimensione ecologica

            «Il Regno che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto» (EG 181), ricordandoci che «tutto nel mondo è intimamente connesso» (LS 16) e che pertanto «il principio del discernimento» dell’evangelizzazione è collegato a un processo integrale di sviluppo umano (cf. EG 181). Questo processo si caratterizza, come segnala Laudato si’ (cf. nn. 137-142), per un paradigma relazionale denominato ecologia integrale, che articola fra loro i vincoli fondamentali che rendono possibile un vero sviluppo.

            Il primo grado di articolazione per un autentico progresso è il vincolo intrinseco fra l’elemento sociale e l’elemento ambientale. Dato che come esseri umani siamo parte degli ecosistemi che favoriscono le relazioni che danno vita al nostro pianeta, prendersi cura di questi ecosistemi – nei quali tutto è interconnesso – è fondamentale per promuovere sia la dignità di ogni individuo che il bene comune della società, sia il progresso sociale che il rispetto dell’ambiente.

            In Amazzonia la nozione di ecologia integrale è una chiave per rispondere alla sfida di tutelare l’immensa ricchezza della sua biodiversità ambientale e culturale. Dal punto di vista ambientale l’Amazzonia, oltre a essere «fonte di vita nel cuore della Chiesa» (REPAM), è un polmone del pianeta e uno dei luoghi in cui si trova maggiore biodiversità nel mondo (cf. LS 38). Infatti, il bacino amazzonico possiede l’ultima grande foresta tropicale che, nonostante gli interventi che ha subito e che subisce, costituisce la maggiore superficie forestale esistente nei tropici della nostra terra. Riconoscere il territorio amazzonico come bacino, al di là delle frontiere tra i Paesi, aiuta ad avere uno sguardo integrale sulla regione, essenziale per la promozione di uno sviluppo e di una ecologia integrali.

            Dal punto di vista culturale, com’è stato ampiamente segnalato nella sezione precedente, l’Amazzonia è particolarmente ricca in virtù delle diverse e ancestrali concezioni del mondo delle sue popolazioni. Tale patrimonio culturale, che fa «parte dell’identità comune» della regione, si trova «minacciato» così come il suo patrimonio ambientale (LS 143). Le minacce provengono – principalmente – da una «visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, [che] tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità» (LS 144).

            Pertanto, il processo di evangelizzazione della Chiesa in Amazzonia non può prescindere dalla promozione e dalla cura del territorio (natura) e dei suoi popoli (culture). Per questo, ha bisogno di stabilire ponti che possano articolare i saperi ancestrali con le conoscenze contemporanee (cf. LS 143-146), particolarmente quelle che riguardano l’utilizzo sostenibile del territorio e uno sviluppo coerente con i sistemi di valori e con le culture dei popoli che abitano questi luoghi, da riconoscere come loro autentici custodi, e in definitiva come loro proprietari.

            Ma l’ecologia integrale è più che la mera connessione tra l’elemento sociale e quello ambientale. Essa comprende pure la necessità di promuovere un’armonia personale, sociale ed ecologica, per la quale abbiamo bisogno di una conversione personale, sociale ed ecologica (cf. LS 210). L’ecologia integrale, dunque, ci invita a una conversione integrale. «Questo esige anche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze» e le omissioni con cui «offendiamo la creazione di Dio», e chiede di «pentirsi di cuore» (LS 218). Soltanto quando saremo coscienti di come il nostro stile di vita e il nostro modo di produrre, commerciare, consumare e scartare influenzano la vita del nostro ambiente e delle nostre società, allora potremo avviare un cambiamento di rotta integrale.

            Cambiare rotta, o convertirsi integralmente, non può esaurirsi in una conversione di tipo individuale. Un cambiamento profondo del cuore, espresso in comportamenti personali, è necessario quanto un cambiamento strutturale, espresso in comportamenti sociali, in leggi e in programmi economici coerenti. Quando si tratta di promuovere questo cambiamento radicale che l’Amazzonia e il pianeta esigono, i processi di evangelizzazione possono contribuire molto, soprattutto grazie alla profondità con cui lo Spirito di Dio pervade la natura e i cuori delle persone e dei popoli.

10. Annunciare il Vangelo di Gesù nell’Amazzonia: dimensione sacramentale

            Mentre la Chiesa riconosce la forte ipoteca e il potere del peccato, soprattutto nella distruzione sociale e ambientale, essa non si scoraggia nel suo camminare insieme al popolo amazzonico e, sostenuta dalla grazia di Cristo, si impegna a superare la fonte del peccato. Uno sguardo ecclesiale contemplativo e una pratica sacramentale coerente sono le chiavi per l’evangelizzazione dell’Amazzonia.

            «L’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto. Quindi c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero» (LS 233). Chi sa contemplare «tutto quanto c’è di buono nelle cose e nelle esperienze del mondo», scopre l’intima connessione di tutte queste cose ed esperienze con Dio (LS 234). Perciò la comunità cristiana, specialmente in Amazzonia, è invitata a osservare la realtà con uno sguardo contemplativo mediante il quale le divenga possibile cogliere la presenza e l’azione di Dio in tutta la creazione e in tutta la storia.

            Inoltre, tenendo conto che «i Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale», la loro celebrazione è un invito permanente ad «abbracciare il mondo su un piano diverso» (LS 235). Per esempio, la celebrazione del Battesimo ci invita a considerare l’importanza dell’“acqua” come sorgente di vita, non solo come strumento o risorsa naturale, e responsabilizza la comunità credente a custodire questo elemento come dono di Dio per tutto il pianeta. Inoltre, tenendo conto che l’acqua del Battesimo purifica il battezzato da tutti i peccati, la sua celebrazione permette alla comunità cristiana di comprendere il valore dell’acqua e “del fiume” come sorgente di purificazione, facilitando l’inculturazione dei riti legati all’acqua propri della sapienza ancestrale dei popoli amazzonici.

            La celebrazione dell’Eucaristia ci invita a riscoprire come «il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia» (LS 236). L’Eucaristia, pertanto, ci riporta al «centro vitale dell’universo», al fulcro traboccante d’amore e di vita inesauribile del Figlio incarnato, presente sotto le apparenze del pane e del vino, frutto della terra-vite e del lavoro degli uomini (LS 236). Nell’Eucaristia la comunità celebra un amore cosmico, in cui gli esseri umani, accanto al Figlio di Dio incarnato e a tutta la creazione, rendono grazie a Dio per la vita nuova in Cristo resuscitato (cf. LS 236). In questo modo, l’Eucaristia costituisce la comunità, una comunità pellegrina festiva che diventa «fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato» (LS 236). Allo stesso tempo, il sangue di tanti uomini e donne che è stato versato, irrorando le terre amazzoniche per il bene dei suoi abitanti e del territorio, si mescola al Sangue di Cristo, versato per tutti e per tutta la creazione.

11.  Annunciare il Vangelo di Gesù nell’Amazzonia: dimensione ecclesiale-missionaria

            Nella Chiesa in uscita (cf. EG 46), «per sua natura missionaria» (AG 2, DAp 347), tutti i battezzati hanno la responsabilità di essere discepoli missionari, partecipando alla vita ecclesiale con modalità diverse e all’interno di ambiti differenti.

            Una delle importanti acquisizioni della coscienza magisteriale della Chiesa è, in effetti, quella di sentirsi chiamata ad «annunziare sempre e dovunque i principi morali anche circa l’ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigano i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime» (CCC 2032; CIC can. 747).

            La lode a Dio deve accompagnarsi alla pratica della giustizia in favore dei poveri. Come proclama il Salmo 146 (145): «Loda il Signore, anima mia: loderò il Signore finché ho vita, […] al Signore che libera i prigionieri, che dà il pane agli affamati, che sostiene l’orfano e la vedova». Questa missione ha bisogno della partecipazione di tutti e di una riflessione più ampia che permetta di considerare le condizioni storiche concrete, sia sociali che ambientali ed ecclesiali. In questo senso, un approccio missionario in Amazzonia richiede più che mai un magistero ecclesiale esercitato nell’ascolto dello Spirito Santo, che sia in grado di assicurare tanto l’unità quanto la diversità. Quest’unità nella diversità, seguendo la tradizione della Chiesa, è attraversata strutturalmente dal cosiddetto sensus fidei del Popolo di Dio.

            Papa Francesco ha ripreso quest’aspetto messo in luce dal Concilio Vaticano II (cf. LG 12; DV 10), ricordando che «in tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia […]. Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio» (EG 119).

            Tale discernimento deve essere accompagnato dai pastori, specialmente dai Vescovi. Infatti, la conservazione della Tradizione ecclesiale, attuata da tutto il Popolo di Dio, esige l’unità di questo Popolo con i suoi pastori (cf. DV 10) per la lettura e il discernimento delle nuove realtà. Sono i Vescovi, come principio di unità del Popolo di Dio (cf. LG 23), coloro che hanno la responsabilità di conservare l’unità della Tradizione originata e basata sulle Sacre Scritture (cf. DV 9).

            Così, il senso religioso dell’Amazzonia, come esempio di espressione del sensus fidei, ha bisogno dell’accompagnamento e della presenza dei pastori (cf. EN 48). Quando Papa Francesco ha incontrato i popoli dell’Amazzonia a Puerto Maldonado, ha affermato: «Ho voluto venire a visitarvi e ascoltarvi, per stare insieme nel cuore della Chiesa, unirci alle vostre sfide e con voi riaffermare un’opzione sincera per la difesa della vita, per la difesa della terra e per la difesa delle culture». I rappresentati dei popoli presenti, da parte loro, gli hanno risposto: «Noi veniamo ad ascoltare Vostra Santità, a stare insieme al Papa nel cuore della Chiesa e a partecipare all’edificazione di questa Chiesa perché assuma sempre più un volto amazzonico». In questo ascolto reciproco tra il Papa (e le autorità ecclesiali) e gli abitanti del popolo amazzonico si alimenta e si rafforza il sensus fidei del Popolo e cresce il suo essere ecclesiale: «Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire» (EG 171).

            L’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica ha bisogno di un grande esercizio di ascolto reciproco, specialmente di un ascolto tra il Popolo fedele e le autorità magisteriali della Chiesa. Una delle cose principali da ascoltare è il gemito «di migliaia di comunità private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi» (DAp 100, e). Confidiamo che la Chiesa, radicata nelle sue dimensioni sinodali e missionarie (cf. Francesco, Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015), possa generare processi di ascolto (vedere-ascoltare) e di discernimento (giudicare), per poter rispondere (agire) alle realtà concrete dei popoli amazzonici.

 

III. AGIRE. NUOVI CAMMINI PER UNA CHIESA DAL VOLTO AMAZZONICO3

12. Chiesa dal volto amazzonico

            «Essere Chiesa è essere Popolo di Dio», incarnato «nei popoli della terra» e nelle loro culture (EG 115). L’universalità o cattolicità della Chiesa si trova dunque arricchita mediante «la bellezza di questo volto pluriforme» (NMI 40) delle diverse manifestazioni delle Chiese particolari e delle loro culture. Come ha segnalato Papa Francesco nel suo incontro con le comunità amazzoniche a Puerto Maldonado, «quanti non abitiamo queste terre abbiamo bisogno della vostra saggezza e delle vostre conoscenze per poterci addentrare, senza distruggerlo, nel tesoro che racchiude questa regione. E risuonano le parole del Signore a Mosè: “Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai, è suolo santo” (Es 3,5)» (Fr. PM).

            La Chiesa è chiamata ad approfondire la sua identità mettendosi in relazione con le realtà dei territori in cui vive e ad accrescere la propria spiritualità ponendosi in ascolto della saggezza dei popoli che la compongono. Per questo motivo, l’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica è chiamata a individuare nuovi cammini per far crescere il volto amazzonico della Chiesa e anche per rispondere alle situazioni di ingiustizia della regione, come il neocolonialismo delle industrie estrattive, i progetti infrastrutturali che danneggiano la biodiversità e l’imposizione di modelli culturali ed economici estranei alla vita dei popoli.

            Così, rivolgendo l’attenzione alla realtà locale e alla diversità delle microstrutture concrete della regione, la Chiesa si rafforza costituendosi come un’alternativa di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza e alla logica uniformizzante incentivata da tanti mezzi di comunicazione, così come a un modello economico che non è solito rispettare i popoli amazzonici e i loro territori.

            Da parte loro le Chiese locali, che sono anch’esse Chiese missionarie, in uscita, possono trovare nelle loro periferie dei luoghi privilegiati di esperienza evangelizzatrice, perché è là che «maggiormente mancano la luce e la vita del Risorto» (EG 30). Nelle periferie i missionari incontrano gli emarginati, i profughi e i rifugiati, i disperati e gli esclusi, dunque Gesù Cristo crocifisso ed esaltato, «che ha voluto identificarsi con particolare tenerezza con i più deboli e poveri» (DP 196).

            Durante la preparazione del Sinodo, si dovrà cercare di individuare esperienze pastorali locali, sia positive che negative, che possano illuminare il discernimento in vista dell’elaborazione di nuove linee d’azione.

13. Dimensione profetica

            Di fronte all’attuale crisi socio-ambientale, occorrono luci di orientamento e di azione per poter operare la trasformazione delle pratiche e degli atteggiamenti.

            Bisogna superare la miopia, la frettolosità e le soluzioni di corto raggio. È necessario mantenere una prospettiva globale e andare oltre gli interessi propri o particolari, per poter condividere ed essere responsabili di un progetto comune e globale.

            «Tutto è collegato» è un’affermazione su cui tanto insiste Papa Francesco, allo scopo di entrare in dialogo con le radici spirituali delle grandi tradizioni religiose e culturali. Si fa strada l’esigenza di un consenso intorno a un’agenda minima: sviluppo integrale e sostenibile, così com’è stato descritto in precedenza, che include allevamento e agricoltura sostenibili, energia non contaminata, rispetto delle identità e dei diritti dei popoli tradizionali, acqua potabile per tutti. Si tratta di temi fondamentali spesso assenti in Panamazzonia.

            Si deve trovare un equilibrio e l’economia deve privilegiare la sua vocazione in favore della dignità della vita umana. Questo rapporto di equilibrio deve tutelare l’ambiente e la vita dei più vulnerabili. Attualmente c’è «una sola e complessa crisi socio-ambientale» (LS 139).

            L’Enciclica Laudato si’ (cf. nn. 216ss) ci invita a una conversione ecologica che esige uno stile di vita nuovo. L’orizzonte di riferimento è rappresentato dall’altro. Si deve praticare la solidarietà globale e superare l’individualismo, dischiudere cammini nuovi di libertà, verità e bellezza. La conversione domanda di liberarci dall’ossessione del consumo. Comprare è un atto morale, non solo economico. La conversione ecologica significa assumere la mistica dell’interconnessione e dell’interdipendenza di tutto il creato. La gratuità non può che imporsi nei nostri comportamenti quando comprendiamo che la vita è dono di Dio. Abbracciare la vita in solidarietà comunitaria esige un cambiamento del cuore.

            Questo nuovo paradigma apre prospettive di trasformazione personale e sociale. La gioia e la pace sono possibili quando non siamo ossessionati dal consumo. Papa Francesco propone un rapporto armonioso con la natura che ci consente di vivere una felice sobrietà, la pace interiore con se stessi in relazione con il bene comune, e una serena armonia che domanda di accontentarsi di quel che è veramente necessario. Si tratta di qualcosa che le culture occidentali possono, e forse devono, apprendere dalle culture tradizionali amazzoniche, come pure da altri territori e comunità del pianeta. Essi, i popoli, «hanno molto da insegnarci» (EG 198). Nell’amore per la loro terra e nella loro relazione con gli ecosistemi, essi conoscono il Dio Creatore, sorgente di vita. Quei popoli «con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente» (EG 198). Essi, nella loro concezione dialogica della vita sociale, sono mossi dallo Spirito Santo. Per questo Papa Francesco ha affermato che «è necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro» e dalle loro culture, e che il compito della nuova evangelizzazione richiede di «prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche [siamo chiamati] ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (EG 198). Di conseguenza, i loro insegnamenti potrebbero indicare la direzione delle priorità per i nuovi cammini della Chiesa in Amazzonia.

14.  Ministeri dal volto amazzonico

            Attraverso molti incontri regionali in Amazzonia, la Chiesa Cattolica ha approfondito la consapevolezza che la sua universalità si incarna nella storia e nelle culture locali. In questo modo si manifesta e si realizza la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica (cf. CD 11). Grazie a tale consapevolezza, la Chiesa tiene oggi gli occhi puntati sull’Amazzonia con una visione d’insieme, che le permette di rendersi conto delle grandi sfide socio-politiche, economiche ed ecclesiali che minacciano questa regione, ma senza perdere la speranza nella presenza di Dio, alimentata dalla creatività e dalla tenace perseveranza dei suoi abitanti.

            Negli ultimi decenni, anche grazie al grande impulso venuto dal Documento di Aparecida, la Chiesa dell’Amazzonia ha preso coscienza che, a causa delle immense distese territoriali, della grande varietà dei popoli e dei rapidi cambiamenti degli scenari socio-economici, la sua pastorale non riusciva a garantire che una presenza precaria. Era (e continua a essere) necessaria una maggiore presenza ecclesiale, per poter rispondere a tutto ciò che è specifico di questa regione a partire dai valori del Vangelo, avendo consapevolezza, fra l’altro, dell’immensa estensione geografica, tante volte di difficile accesso, della grande diversità culturale e del forte influsso esercitato da interessi nazionali e internazionali in cerca di un arricchimento economico facile attraverso le risorse presenti nella regione. Una missione incarnata esige di ripensare la scarsa presenza della Chiesa in rapporto all’immensità del territorio e alla sua varietà culturale.

            La Chiesa dal volto amazzonico deve «ricercare un modello di sviluppo alternativo, integrale e solidale, fondato su un’etica attenta alla responsabilità per un’autentica ecologia naturale e umana, che sia radicata nel Vangelo della giustizia, nella solidarietà e nella destinazione universale dei beni; che superi la logica utilitarista ed individualista, che rifiuta di sottoporre ai criteri etici i poteri economici e tecnologici» (DAp 474, c). Pertanto, è necessario incoraggiare tutto il Popolo di Dio a partecipare alla missione di Cristo, Sacerdote, Profeta e Re (cf. LG 9), e a non rimanere indifferente di fronte alle ingiustizie della regione per poter individuare, in ascolto dello Spirito, gli auspicati nuovi cammini.

            Questi nuovi cammini per la pastorale dell’Amazzonia esigono di «rilanciare l’opera delle Chiesa» (DAp 11) nel territorio e di approfondire il «processo di inculturazione» (EG 126), che domanda alla Chiesa amazzonica di avanzare proposte «coraggiose», fatte con «audacia» e «senza paura», come ci chiede Papa Francesco. Il profilo profetico della Chiesa si mostra oggi attraverso il suo profilo ministeriale partecipativo, capace di rendere i popoli indigeni e le comunità amazzoniche i «principali interlocutori» (LS 146) all’interno di tutte le questioni pastorali e socio-ambientali del territorio.

            Per intervenire sulla presenza precaria della Chiesa e trasformarla in una presenza più capillare e incarnata, c’è bisogno di stabilire una gerarchia delle urgenze in Amazzonia. Il Documento di Aparecida menziona la necessità di una «coerenza eucaristica» (DAp 436) per tutta la regione amazzonica, riferendosi non solo alla possibilità che tutti i battezzati partecipino alla Messa dominicale, ma anche all’esigenza che crescano cieli nuovi e terra nuova come anticipazione del Regno di Dio in Amazzonia.

            In questo senso il Vaticano II ci ricorda che tutto il Popolo di Dio partecipa al sacerdozio di Cristo, benché distinguendo tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale (cf. LG 10). Per questo è urgente valutare e ripensare i ministeri che oggi sono necessari per rispondere agli obiettivi di «una Chiesa con un volto amazzonico e una Chiesa con un volto indigeno» (Fr. PM). Una priorità è quella di precisare i contenuti, i metodi e gli atteggiamenti di una pastorale inculturata, capace di rispondere alle grandi sfide del territorio. Un’altra priorità è quella di proporre nuovi ministeri e servizi per i diversi agenti pastorali, che rispondano ai compiti e alle responsabilità della comunità. In questa linea, occorre individuare quale tipo di ministero ufficiale possa essere conferito alla donna, tenendo conto del ruolo centrale che le donne rivestono oggi nella Chiesa amazzonica. È altresì necessario sostenere il clero indigeno e nativo del territorio, valorizzandone l’identità culturale e i valori propri. Infine, bisogna progettare nuovi cammini affinché il Popolo di Dio possa avere un accesso migliore e frequente all’Eucaristia, centro della vita cristiana (cf. DAp 251).

15. Nuovi cammini

            Mentre pensiamo a una Chiesa dal volto amazzonico, sogniamo con i piedi per terra, la nostra terra di origine. Al tempo stesso, riflettiamo con gli occhi aperti su come questa Chiesa dovrà essere, a partire dalla concreta varietà culturale dei popoli. I nuovi cammini dovranno incidere sui ministeri, sulla liturgia e sulla teologia (teologia india)4.

            La Chiesa si è indirizzata ai popoli mossa dal mandato di Gesù e dalla fedeltà al suo Vangelo. Oggi essa ha bisogno di scoprire «con gioia e rispetto i semi della Parola» (AG 11) all’interno della regione.

            Tutto il Popolo di Dio, con i suoi Vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, missionari e missionarie religiosi e laici, è chiamato a entrare con cuore aperto in questo nuovo cammino ecclesiale. Tutti sono chiamati a vivere insieme alle comunità e a impegnarsi in difesa della loro esistenza, ad amarle e ad amare le loro culture. I missionari autoctoni e quelli che vengono da fuori devono coltivare la spiritualità della contemplazione e della gratuità, sentire con il cuore e guardare con gli occhi di Dio i popoli amazzonici e indigeni.

            La spiritualità pratica, quella con i piedi per terra, offre la possibilità di trovare la gioia e il gusto di vivere insieme ai popoli amazzonici, e così di valorizzare le loro ricchezze culturali in cui Dio ha seminato il seme della Buona Notizia. Dobbiamo essere anche capaci di riconoscere quegli elementi presenti all’interno delle culture che, essendo storicamente condizionati, hanno bisogno di purificazione, e di lavorare per la conversione individuale e comunitaria, coltivando il dialogo a diversi livelli. La spiritualità profetica e del martirio accresce il nostro impegno per la vita dei popoli e la difesa del loro passato e del loro presente, spingendoci a guardare avanti per costruire una nuova storia.

            Siamo chiamati come Chiesa a rafforzare il protagonismo dei popoli: abbiamo bisogno di una spiritualità interculturale che ci aiuti a interagire con le diversità dei popoli e con le loro tradizioni. Dobbiamo aggregare le forze per prenderci insieme cura della nostra Casa Comune.

            C’è bisogno di una spiritualità di comunione fra i missionari autoctoni e quelli che vengono da fuori, per imparare insieme ad accompagnare le persone, ascoltando le loro storie, partecipando ai loro progetti di vita, condividendo la loro spiritualità e facendo proprie le loro lotte. Una spiritualità con lo stile di Gesù: semplice, umano, dialogante, samaritano, che permetta di celebrare la vita, la liturgia, l’Eucaristia, le feste, sempre rispettando i ritmi propri di ogni popolo.

            Incoraggiare lo sviluppo di una Chiesa dal volto amazzonico implica, per i missionari, la capacità di scoprire i semi e i frutti del Verbo già presenti nella concezione del mondo dei popoli della regione. Per fare questo è necessario assicurare una presenza stabile e conoscere la lingua autoctona, la cultura e l’esperienza spirituale di quei popoli. Soltanto così la Chiesa potrà rendere presente tra di essi la vita di Cristo.

            Per concludere, e ricordando le parole di Papa Francesco, vorremmo «chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo» (Francesco, Omelia nella Messa di inizio del ministero petrino, 19.III.2013).

            Inoltre, vorremmo anche chiedere ai popoli dell’Amazzonia: «Aiutate i vostri Vescovi, aiutate i vostri missionari e le vostre missionarie affinché si uniscano a voi, e in questo modo, dialogando con tutti, possano plasmare una Chiesa con un volto amazzonico e una Chiesa con un volto indigeno. Con questo spirito ho convocato un Sinodo per l’Amazzonia nell’anno 2019» (Fr. PM).

QUESTIONARIO

            La finalità del Questionario è quella di ascoltare la Chiesa di Dio in riferimento ai «nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale» in Amazzonia. Lo Spirito parla attraverso tutto il Popolo di Dio. Ascoltandolo si possono conoscere le sfide, le speranze, le proposte, e riconoscere i nuovi cammini che Dio chiede alla Chiesa in questo territorio. Il presente Questionario è indirizzato ai pastori affinché vi rispondano consultando il Popolo di Dio. Per fare questo sono invitati a cercare i mezzi più adeguati secondo le specifiche realtà locali. Il Questionario è strutturato in tre parti che corrispondono alle diverse sezioni del Documento Preparatorio: vedere, discernere-giudicare, agire.

 

I PARTE

  1. Quali sono i problemi più importanti nella sua comunità: le minacce e le difficoltà che riguardano la vita, il territorio e la cultura?
  2. Alla luce di Laudato si’, come si configurano la biodiversità e la sociodiversità nel suo territorio?
  3. Come incidono o non incidono queste diversità nel suo lavoro pastorale?
  4. Alla luce dei valori del Vangelo, che tipo di società dobbiamo promuovere e di quali mezzi disponiamo per farlo, tenendo conto della realtà rurale e di quella urbana e delle loro differenze socio-culturali?
  5. Considerata l’enorme ricchezza della loro identità culturale, quali sono i contributi, le aspirazioni e le sfide dei popoli amazzonici in relazione alla Chiesa e al mondo?
  6. In quale maniera questi contributi possono essere integrati in una Chiesa dal volto amazzonico?
  7. Come la Chiesa deve accompagnare i processi di organizzazione dei popoli in riferimento alla loro identità e alla difesa dei loro territori e diritti all’interno di una pastorale integrale?
  8. Quali dovrebbero essere le risposte della Chiesa alle sfide della pastorale urbana nel territorio amazzonico?
  9. Se esistono nel suo territorio Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV), come la Chiesa dovrebbe comportarsi per difendere la loro vita e i loro diritti?

 

II PARTE

  1. Quali speranze offre la presenza della Chiesa alle comunità amazzoniche in ordine alla vita, al territorio e alla cultura?
  2. Come promuovere un’ecologia integrale, ovvero ambientale, economica, sociale, culturale e della vita quotidiana (cf. LS 137-162) in Amazzonia?
  3. Nel contesto della sua Chiesa locale, in che modo Gesù è Buona Notizia nella vita della famiglia, della comunità e della società amazzoniche?
  4. Come la comunità cristiana può rispondere alle situazioni di ingiustizia, povertà, disuguaglianza, violenze (tra le altre ricordiamo la droga, la tratta di persone, la violenza contro la donna, lo sfruttamento sessuale, la discriminazione verso i popoli indigeni e i migranti) e di esclusione in Amazzonia?
  5. Quali elementi specifici delle identità culturali possono facilitare l’annuncio del Vangelo nella novità del mistero di Gesù?
  6. Quali cammini si possono intraprendere per inculturare la nostra pratica sacramentale nell’esperienza vissuta dei popoli indigeni?
  7. Come la comunità dei credenti, che è «missionaria per sua natura» e nel modo che le è specifico, partecipa al magistero concreto e quotidiano della Chiesa in Amazzonia?

 

III PARTE

  1. Quale Chiesa sogniamo per l’Amazzonia?
  2. Come immagina una Chiesa in uscita e dal volto amazzonico e quali caratteristiche dovrebbe avere?
  3. Esistono spazi di espressione autoctona e di partecipazione attiva nella pratica liturgica delle sue comunità?
  4. Una delle grandi sfide in Amazzonia è l’impossibilità di celebrare l’Eucaristia in modo frequente e in tutti i luoghi. Come rispondere a questo?
  5. Come riconoscere e valorizzare il ruolo dei laici nei diversi ambiti pastorali (catechesi, liturgia e carità)?
  6. Quale ruolo devono avere i laici nei diversi ambiti socio-ambientali nel territorio?
  7. Cosa deve caratterizzare l’annuncio e la denuncia profetici in Amazzonia?
  8. Quali caratteristiche devono possedere coloro che recano l’annuncio della Buona Notizia in Amazzonia?
  9. Quali sono i servizi e i ministeri dal volto amazzonico nella sua giurisdizione ecclesiastica e quali caratteristiche hanno?
  10. Quali sono i servizi e i ministeri dal volto amazzonico che Lei ritiene dovrebbero essere creati e promossi?
  11. In che modo la vita consacrata può contribuire con i suoi carismi alla costruzione di una Chiesa dal volto amazzonico?
  12. Il ruolo delle donne nelle nostre comunità è di somma importanza: come riconoscerlo e valorizzarlo nella prospettiva di nuovi cammini pastorali?
  13. Come la religiosità popolare, e in particolare la devozione mariana, si integrano e possono contribuire ad aprire nuovi cammini per la Chiesa in Amazzonia?
  14. Quale potrebbe essere il contributo dei mezzi di comunicazione per aiutare a costruire una Chiesa dal volto amazzonico?

 

* * *

SIGLE E ABBREVIAZIONI

AG: Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Ad Gentes (7.XII.1965)   
CCC: Catechismo della Chiesa Cattolica (11.X.1992)        
CIC: Codice di Diritto Canonico (25.I.1983)          
CD: Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Christus Dominus (28.X.1965)    
DAp: Documento di Aparecida. Testo conclusivo della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano (2007)        
DP: Documento di Puebla. Testo conclusivo della III Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano (1979)
DSD: Documento di Santo Domingo. Testo conclusivo della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano (1992)        
DV: Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Dei Verbum (18.XI.1965)         
EG: Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (24.XI.2013)
EN: Paolo VI, Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi (8.XII.1975) 
Fr. PM: Francesco, Discorso in occasione dell’Incontro con i popoli dell’Amazzonia, Puerto Maldonado, Perù (19.I.2018)     
Fr. EP: Francesco, Saluto in occasione dell’Incontro con la popolazione di Puerto Maldonado (19.I.2018)       
Fr. FPI: Francesco, Discorso ai rappresentanti dei popoli indigeni (15.II.2017)    
GS: Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (7.XII.1965)      
LG: Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium (21.XI.1964)   
LS: Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’ (24.V.2015)  
NMI: Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte (6.I.2001)   
PIAV: Popoli Indigeni in Isolamento Volontario    
PO: Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Presbyterorum Ordinis (7.XII.1965)       
PP: Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio (26.III.1967)       
REPAM: Rapporto Esecutivo dell’Incontro Fondativo della Rete Ecclesiale Panamazzonica (12.IX.2014)       
SC: Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium (4.XII.1963)        
UR: Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Unitatis redintegratio (21.XI.1964)

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1 In questo documento si utilizzano indistintamente i termini “indigeni”, “aborigeni” e “popoli originari”.
2 Si intende per Panamazzonia l’insieme dei territori che si estendono oltre il solo bacino dei fiumi.
3 Fonte: REPAM, Memorie dell’Incontro “Chiesa dal volto amazzonico e indigeno” (Quito, Ecuador, 28-30.XI.2017).
4 Cf. CELAM, VI Simposio di Teologia India (Asunción, Paraguay, 18-23.IX.2017).